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MEDICINA TECNOLOGICA

SISPeD • apr 16, 2021

Che cosa tratta e di cosa si occupa.

Grazie al progresso tecnologico che è sempre in maggiore sviluppo, la tecnologia offre grande aiuto anche in campo medico e sanitario. Gli esperti, infatti, affermano che il futuro della salute è in mano alle nuove ed innovative tecnologie informatiche.

Cambiano i paradigmi del rapporto tra il sistema sanitario e la cura della persona. A spiegarlo è Jeroen Tas, Chief Innovation e Strategy Officier di Royal Philips: “Gli Stati Uniti spendono circa 7,6 trilioni di dollari per la sanità e di questa cifra enorme gli sprechi rappresentano circa il 30 – 40%. Quello della sanità è dunque un settore in cui esistono grandi opportunità per avere risultati migliori […]. Molte delle cure che vengono eseguite in ospedale potrebbero essere servite altrove, la maggioranza delle persone che si reca in una struttura ospedaliera non ha effettivamente bisogno di andarci”. 

Se la durata della vita media è notevolmente aumentata nel corso degli anni, è grazie alle innumerevoli scoperte scientifiche e tecnologiche in grado di utilizzare strumenti innovativi e sempre più affidabili all’interno delle sale operatorie. 
L'ambito tecnologico più conosciuto ed usato riguarda la tecnologia che utilizziamo quotidianamente, passando da un telefono ad un computer, e gli studi più avanzati, coinvolgendo quindi i ricercatori di tutto il mondo, sono all'opera per sfruttare le conoscenze in campo elettronico, tecnologico e robotico in modo da creare apparecchiature in grado di aiutare la medicina.
Si potrebbero riportare diversi esempi, spaziando dagli organi o arti realizzati grazie all'uso di stampanti 3D, alla neuroriabilitazione robotica, il Robot Da Vinci, la radioterapia stereotassica che è in grado di risparmiare i tessuti sani, o ai dispostivi che monitorano i parametri vitali e li comunicano in tempo reale.

Le applicazioni tecnologiche che vengono utilizzate ogni giorno nelle sale operatorie sono ormai tantissime e le troviamo nei centri diagnostici, nella terapia e nella riabilitazione, essendo che, la tecnologia è in continua evoluzione e bioingegneri, fisici, ingegneri elettronici e programmatori mettono a punto ogni giorno nuove applicazioni che stanno rivoluzionando il mondo della medicina e della chirurgia. 

Da un’indagine che è stata condotta dalla Commissione Europea, emerge che il 59% degli intervistati utilizza internet per effettuare ricerche su temi di salute e sempre più cittadini dichiarano di utilizzare i canali digitali per comunicare con il loro medico di base.
Il rapporto medico-paziente è stato quindi rivoluzionato dalle nuove tecnologie digitali. Ciascuno può, in tempo reale, accedere ai dati relativi al proprio stato di salute, condividere con altri pazienti le paure e le aspettative confrontandosi su eventuali effetti indesiderati dei farmaci.
Tutto questo è possibile grazie agli strumenti messi a disposizione dall’applicazione dell’e-health ovvero la ricerca ICT in campo medico.
In futuro ad un paziente con una malattia cronica verrà fatto indossare un dispositivo “intelligente”, come ad esempio un orologio, che misurerà il suo battito cardiaco, la pressione, la temperatura corporea ed altro registrandone le variazioni e inviando un segnale di allarme in caso di scostamenti. Con una App, il paziente leggerà queste informazioni direttamente sul suo Smartphone e anche il suo medico potrà visualizzarle da remoto, cosicché da non doversi spostare dall’ambulatorio.
Grazie all'utilizzo di un software, il paziente sarà in grado di ricordare quali medicine dovrà assumere e quando, riceverà consigli per mantenere uno stile di vita sano e un aiuto per prendersi cura di sé in autonomia, direttamente da casa, senza doversi spostare.
Per medici e professionisti significherà - quindi - avere meno code in sala d’attesa e meno controlli di routine, perché saranno i nuovi dispositivi tecnologici ad acquisire i dati che oggi vengono raccolti “manualmente”, ma avranno anche più informazioni da gestire e analizzare.
04 giu, 2024
Un nuovo rapporto dell’OMS esamina i percorsi intrapresi dai singoli paesi per rimodellare i propri sistemi sanitari attraverso l’integrazione di politiche e strumenti sanitari digitali. Il documento “Esplorare il panorama della sanità digitale nella regione europea dell’OMS: profili nazionali della sanità digitale” descrive in dettaglio le innovazioni in settori quali la telemedicina, la sanità mobile e i Big Data, nonché la governance della sanità digitale e il fascicolo sanitario elettronico. L’analisi di questi elementi a livello nazionale può fornire informazioni su come ciascun Paese si muove nel panorama in evoluzione della sanità digitale. Qual è la situazione dell'Italia fotografata dal nuovo report OMS? Rispetto a Danimarca, Belgio, Francia e anche Albania, che si sono guadagnati la ‘spunta verde’ in tutti gli ambiti analizzati (dalla presenza di una politica nazionale sulla sanità digitale, che pure l'Italia possiede, al governo dei big data nel settore, che invece all'Italia ancora sembra mancare), il nostro Paese si trova in una situazione di ‘stand by’ per quanto riguarda l'adozione di politiche, piani d'azione o strategie per la formazione in sanità digitale. Nel dettaglio, il report analizza anche la risposta a livello regionale nei vari ambiti, per cui la strategia sulla sanità digitale implementata nel 2016 risulta presente a livello nazionale e all'83% a livello regionale; il sistema informativo sanitario digitale adottato nel 2009 è presente a livello nazionale e al 79% a livello regionale, mentre per la telemedicina c'è una strategia nazionale e al 78% anche regionale. Mancano però progetti per la tele-dermatologia e la tele-psichiatria. I fondi nazionali per la sanità digitale risultano presenti sia livello nazionale che nel 100% delle regioni. Mancano ancora le partnership pubblico/privato, mentre risulta completo il quadro normativo e il sistema di monitoraggio. Bene anche il sistema delle prescrizioni elettroniche, con il 90% delle ricette che ormai è dematerializzato. Come accennato, infine, manca il governo dell'uso dei big data nel settore della sanità, anche nel settore privato. Il rapporto - evidenzia l'OMS - mira a incoraggiare l’apprendimento condiviso, aiutare i paesi a identificare le barriere sanitarie digitali, esplorare le tendenze, orientare l’agenda per l’innovazione e contribuire all’attuazione del piano d’azione regionale sulla salute digitale per la regione europea dell’OMS. “La pandemia di COVID-19 ha favorito l’adozione di strumenti e politiche sanitarie digitali. Tuttavia, come vediamo dal nostro rapporto regionale, c’è ancora del lavoro da fare. Con i profili nazionali sulla sanità digitale, siamo in grado di dare uno sguardo più attento, identificando punti di forza, lacune ed esigenze. Ciò ci consentirà di fornire un supporto su misura ai nostri Stati membri nella loro trasformazione sanitaria digitale”, ha affermato la dott.ssa Natasha Azzopardi-Muscat, Direttore per le politiche e i sistemi sanitari nazionali presso l’OMS/Europa. Le informazioni presentate nei profili dei paesi sono state raccolte tra aprile e ottobre 2022. Pertanto, eventuali recenti progressi o cambiamenti nei rispettivi paesi oltre tale periodo potrebbero non essere riflessi. I profili dei paesi si basano sul rapporto regionale sulla salute digitale dell’OMS/Europa, che è stato pubblicato nel 2023 e ha fornito un’ampia panoramica dei dati e della salute digitale nella regione. Testo: Quotidianosanità.it
04 giu, 2024
Lo European Health Data Space (EHDS) è una proposta introdotta dalla Commissione Europea nel maggio 2022 che si propone di realizzare due obiettivi principali, cioè di mettere i cittadini al centro del proprio percorso di assistenza sanitaria garantendo loro il controllo completo sui propri dati e di consentire l’utilizzo dei dati sanitari a fini di ricerca e di sanità pubblica, ma sotto rigorose condizioni, nel rispetto della privacy e della sicurezza dei dati dei pazienti. Lo scorso 24 aprile, il Parlamento Europeo ha votato a favore del Regolamento sullo Spazio Europeo dei Dati Sanitari. Secondo gli esperti di tutta l’Unione Europea, è necessario un maggiore impegno, consapevolezza e collaborazione per realizzare appieno il potenziale dell’EHDS. Il regolamento è progettato per istituire un sistema di condivisione e accesso ai dati sanitari dei cittadini europei, al fine di migliorare l’assistenza per coloro che richiedano cure al di fuori del proprio Paese d’origine. La Commissione Europea auspica inoltre di ampliare le opportunità di ricerca fornendo al mondo accademico e all’industria un vasto patrimonio di dati sanitari da analizzare. Il parere degli esperti: finanziamenti e consenso inadeguati da parte degli stakeholder Nel recente Report “Implementing the European Health Data Space across Europe” del Think Tank EIT Health, parte dell’European Institute of Innovation and Technology (EIT), esperti provenienti da tutta l’Unione Europea hanno esaminato i potenziali ostacoli e delineato le soluzioni relativamente a sei aspetti fondamentali dell’attuazione dell’EHDS. Questi aspetti includono la governance, le capacità e le competenze, le risorse e i finanziamenti, la qualità dei dati, la relazione tra utilizzo primario e secondario, la sensibilizzazione e, non da ultimo, l’educazione e la comunicazione mirate a promuovere una cultura orientata ai dati nel settore sanitario. Gli esperti hanno evidenziato che l’EHDS possiede il potenziale per trasformare radicalmente l’assistenza sanitaria europea, ma questo potenziale rischia di rimanere inespresso senza finanziamenti adeguati. Nel contesto degli sforzi dell’Europa per consolidare la sua leadership globale nell’innovazione sanitaria, è essenziale destinare risorse adeguate a iniziative capaci di guidare il progresso e migliorare la salute e il benessere dei cittadini europei, tra cui appunto l’EHDS. I finanziamenti attualmente disponibili non sono allineati con l’ambizione delineata dalla Commissione e l’impegno finanziario di alcuni Paesi membri non è sufficiente a sostenere lo sviluppo dell’assistenza sanitaria e delle infrastrutture. Tra le altre raccomandazioni, il Report suggerisce agli Stati membri di aumentare il loro coinvolgimento finanziario nelle iniziative legate all’EHDS al fine di garantirne il successo e massimizzare l’impatto sui risultati sanitari in tutta Europa. La portata e la tempistica dell’EHDS “richiederanno l’adesione e la cooperazione di stakeholder del mondo politico, sanitario, della ricerca, dell’industria e della società civile”. Gli esperti hanno notato che vi è una bassa comprensione tra i principali stakeholder e l’opinione pubblica, soprattutto riguardo alla relazione tra l’uso primario e secondario dei dati. Il Report raccomanda sforzi congiunti per sensibilizzare l’opinione pubblica sui contenuti e sulla logica del regolamento, specialmente riguardo all’utilizzo dei dati per guidare le innovazioni fondamentali nel settore. Per completare il quadro sull’uso dei dati primari e secondari, il Report suggerisce agli organismi di accesso ai dati sanitari di “facilitare la tracciabilità dei dati per promuovere la fiducia nelle nuove opportunità e tecnologie che potranno essere introdotte nell’assistenza sanitaria”. Cosa deve fare l’Italia Secondo il Report del Think Tank, l’Italia deve rispondere a normative rigorose nella gestione dei dati sanitari, resesi più stringenti dai severi requisiti in termini di consenso per il trattamento dei dati personali richiesti dal Garante per la Protezione dei Dati Personali. Questo contesto normativo ha complicato l’utilizzo dei dati sanitari per scopi secondari, specialmente durante situazioni critiche come la pandemia di COVID-19. Inoltre, il sistema sanitario digitale italiano è caratterizzato da sistemi locali frammentati e non interoperabili, che ostacolano la reale condivisione e utilizzo dei dati sanitari tra le diverse regioni. “Siamo impegnati a favorire outcome sanitari migliori attraverso l’uso responsabile dei dati. Il nostro obiettivo rimane quello di migliorare l’interoperabilità e promuovere la cultura della condivisione dei dati tra gli operatori sanitari per mettere pienamente a frutto il potenziale delle innovazioni sanitarie digitali.” ha aggiunto Cecilia Maini, Strategic Development in Lifescience and Health di ART-ER. “Abbiamo già buoni esempi: il programma DARE - Digital Lifelong Prevention, un’iniziativa quadriennale finanziata dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, collabora con una rete diversificata di università, centri di ricerca e altri partner per utilizzare le tecnologie digitali nello sviluppo di nuovi modelli di promozione della salute, monitoraggio e prevenzione delle malattie per vari gruppi di popolazione, con l’obiettivo di ridurre le disparità sanitarie, sociali e geografiche.” Testo: Giulia Vismara
04 giu, 2024
Lo sviluppo e la progressiva diffusione degli strumenti per la sanità digitale stanno coinvolgendo un numero sempre più ampio di professionisti e strutture. Questa evoluzione, che ha avuto uno slancio significativo con il piano e i fondi previsti dal Pnrr, sta progressivamente trasformando molti comparti legati alla cura e alla salute. Per monitorare questo grande cambiamento, la School of Management del Politecnico di Milano ha attivato, già da anni, l’Osservatorio Sanità Digitale che raccoglie informazioni e dati sullo sviluppo delle infrastrutture, la spesa a esse destinata e il mood di operatori e pazienti nell’approccio alle nuove tecnologie. Per fare il punto sulla situazione, si è tenuto lo scorso 23 maggio 2024 a Milano il convegno “Sanità digitale: trasformare il presente per un futuro sostenibile”, durante il quale sono stati presentati i dati relativi al 2023. Forte aumento della spesa Lo scorso anno la sanità digitale nel nostro Paese ha visto un’accelerazione, con una crescita a due cifre degli investimenti. «I dati relativi alla spesa per la digitalizzazione sanitaria – ha dichiarato Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio sanità digitale– sono un importante indicatore della direzione verso cui stiamo andando. Nel complesso nel 2023 la spesa ha raggiunto circa 2,2 miliardi di euro, con un incremento del 22%, sicuramente il più elevato da quando abbiamo iniziato il nostro monitoraggio (nel 2022 era stato del 7%)». Secondo i dati emersi, il 35% dei medici specialisti e il 43% dei medici di medicina generale dichiara di aver utilizzato servizi di televisita e rispettivamente il 33% e il 35% ha fatto ricorso al telemonitoraggio. Inoltre, il 35% dei medici specialisti e il 48% dei medici di base hanno utilizzato il Fascicolo sanitario elettronico. Telemedicina, infrastrutture e organizzazione La telemedicina è un’area sulla quale c’è grande attesa e che rappresenta uno dei cardini della digitalizzazione sanitaria. «Alla base della telemedicina – ha sottolineato Deborah De Cesare, direttrice dell’Osservatorio Sanità Digitale – ci sono due aspetti imprescindibili: da un lato le infrastrutture tecnologiche, dall’altro l’organizzazione. Per questo le Regioni stanno predisponendo modelli organizzativi con tutti gli aspetti operativi, che potranno poi essere aggiornati all’occorrenza. In mancanza di piattaforme regionali, che sono ancora in fase di implementazione, lo scorso anno molte prestazioni in telemedicina si sono avvalse di piattaforme non a uso sanitario, inadeguate allo scambio dei dati sensibili relativi alla salute. Un gap che dovrà essere colmato con l’arrivo delle nuove infrastrutture». Grandi aspettative per il ruolo delle farmacie La farmacia partecipa all’evoluzione della sanità digitale e ne è parte integrante. «C’è una grandissima attesa per quello che può essere il ruolo della farmacia come punto di accesso alla sanità digitale» – ha dichiarato Mariano Corso. Un ruolo per il quale i presidi farmaceutici si stanno preparando da tempo con importanti sforzi. «Le farmacie sono citate in molti modelli organizzativi regionali e nel Pnrr – ha dichiarato Marco Cossolo, presidente di Federfarma –. L’Agenas ha deciso di fornire gli strumenti di telemedicina alle farmacie rurali perché possano essere a disposizione dei cittadini. Oggi le farmacie eseguono già prestazioni di telecardiologia. In alcune regioni, con la sperimentazione della farmacia dei servizi, alle attività di telecardiologia si affianca anche la spirometria. Il processo è avviato e completato in cinque regioni, con l’adesione di circa due terzi delle farmacie. Stiamo iniziando anche a fare i primi tentativi di televisita, per esempio in Veneto nelle zone più distanti dai grandi centri urbani. Anche qui la disponibilità delle farmacie è molto elevata». Testo: Tiziana Corti
04 giu, 2024
Mancanza di competenze nelle Asl, adeguamento delle strutture e digital illiteracy: sono queste le grandi sfide della sanità di fronte alla trasformazione digitale e che andranno necessariamente vinte per adempiere alla Missione salute del Pnrr, come evidenzia il 36mo Rapporto Italia dell’Eurispes. L’impatto dei 15,5 miliardi previsti dal Pnrr per la sanità digitale, per riformare entro il 2026 il Servizio sanitario nazionale con l’innovazione della telemedicina, il completamento del Fascicolo sanitario elettronico e la digitalizzazione dei processi per arrivare ad una sanità davvero digitale, “presenta ancora diverse sfide da affrontare”, si legge nel report. Sanità digitale: tre ostacoli lungo la Missione salute del Pnrr La prima sfida riguarda la mancanza di competenze digitali all’interno delle organizzazioni sanitarie, che posiziona l’Italia al diciottesimo posto fra i 27 Stati membri dell’Ue (Desi, 2022). La seconda, prosegue il report – è l’adeguamento delle strutture e dei servizi sanitari ai nuovi modelli e standard previsti dal decreto ministeriale 77 del 2022, inclusa la definizione dei criteri di accesso, erogazione e remunerazione delle prestazioni di telemedicina. Un’ulteriore barriera è la ‘digital illiteracy’, poiché la telemedicina si è focalizzata principalmente sui dispositivi tecnologici e non sulla formazione del personale. Questo è ulteriormente aggravato dalla mancanza di una connettività veloce e uniforme su tutto il territorio nazionale”. Il Rapporto evidenzia anche tre macro-aspetti nel sistema sanitario nazionale che necessitano di essere riformati. Innanzitutto, lunghe liste d’attesa e debolezze strutturali a livello territoriale: gli eccessivi tempi di attesa, come ha evidenziato il report dell’Aiop 2024, rappresentano uno degli elementi di maggiore iniquità nell’ambito del sistema sanitario. C’è poi il fenomeno della migrazione sanitaria: nel 2021 ha raggiunto 4,24 miliardi, cifra nettamente superiore a quella del 2020 (3,33 miliardi). La carenza di personale e la mancanza di turnover sono il terzo aspetto che preoccupa: il 10% delle posizioni di medico di base rimane non occupato, situazione aggravata dal fatto che si prevede un significativo aumento dei pensionamenti. Carenza di competenze digitali, questione italiana In fatto di competenze, non è solo la sanità a restare indietro: la carenza di competenze digitali, di base e specialistica, rilevata dal Desi ancora nel 2023 per la popolazione italiana, costituisce un persistente fattore di ritardo nella trasformazione digitale. Infatti, più della metà delle persone nel nostro Paese non ha nemmeno le competenze digitali di base, il che rende molto difficile per loro beneficiare delle opportunità digitali ed esercitare i diritti di cittadinanza. Il divario rispetto alla media europea si riduce per le competenze digitali superiori a quelle di base, ma torna ad alzarsi con riferimento alle competenze specialistiche e con riferimento ai laureati Ict. Inoltre, solo il 33,9% degli italiani ha una vaga idea di che cosa sia l’intelligenza artificiale e una quota simile afferma di non saperne nulla (31,9%). Il Desi registra per il 2023 un livello medio di digitalizzazione dei servizi pubblici pari al 77% in Ue e per l’Italia poco meno del 68%. Nel 2022 la Pubblica amministrazione italiana ha comunque speso oltre 7 miliardi di euro in Ict (+5,8% rispetto al 2021) per spingere la sua digitalizzazione e, secondo le stime, la spesa continuerà a crescere nel prossimo triennio, anche grazie ai fondi del Pnrr. In merito ai nuovi paradigmi del lavoro digitale, meno di un decimo degli italiani (9,1%) lavora interamente da remoto in una località diversa da quella dove ha sede la sua azienda e un 38,3% conosce persone che lo fanno, rileva Eurispes. Il nomadismo digitale (riferito a chi abbandona il tradizionale luogo fisico del lavoro per vivere una vita senza vincoli e con maggiore libertà, spesso spostandosi da un paese all’altro) è una realtà ancora più limitata. Occupazione: le imprese innovative spingono la crescita Quasi la metà dei lavoratori italiani (47,3%) ha valutato, più o meno concretamente, l’eventualità di un trasferimento lavorativo in un paese straniero. Sono soprattutto i laureati ad aver considerato l’ipotesi di lasciare l’Italia per lavorare fuori dal Paese (55,2%). La spinta a considerare di lavorare all’estero è la possibilità di ottenere migliori condizioni economiche (28,2%). Seguono: conseguire più sicurezza e stabilità lavorativa (17,8%), avere più possibilità di trovare lavoro (17,5%). Sul fronte occupazione, il Rapporto di Eurispes evidenzia anche che in Italia le startup innovative e ad alta tecnologia rappresentano il più importante driver di crescita occupazionale della nostra economia. Nel terzo trimestre del 2022, si sono registrate 14.708 imprese attive con un valore medio di produzione di circa 211mila euro, in aumento rispetto al trimestre precedente (dati Infocamere-Unioncamere). Crescono soprattutto le imprese dei settori “conoscenza e tecnologia”, “infrastrutture” e “creativity output”, che riflette la capacità creativa e innovativa del Made in Italy. Il Governo italiano ha introdotto l’Italian startup act (Isa) per fornire incentivi e supporto a queste imprese in tutte le fasi del loro ciclo di vita e gli effetti sembrano arrivare: secondo il Global innovation index del 2023, l’Italia guadagna due posti nella classifica dei Paesi con imprese più innovative collocandosi al ventiseiesimo posto. Secondo una ricerca della Rome business school, le startup innovative in Italia sono passate da 14.708 nel 2022 a una previsione di 16.256 nel 2023. Dal 2013 al 2023, si è registrata una crescita cumulata pari al 981,6% e una crescita percentuale media del 26,88%. Inoltre, nel 2013 il 67,5% delle startup ha un valore della produzione inferiore a 100mila euro, mentre nel 2022 questa percentuale scende al 27%. Startup e open innovation per la competitività dell’Italia nell’Ai Sul ruolo delle startup nell’ecosistema italiano è intervenuto anche Marco Gay, presidente esecutivo di Zest, durante il Festival dell’economia di Trento all’interno del panel su: “Intelligenza artificiale: il ruolo delle big tech”. Gay ha affermato che gli investimenti nelle startup, assieme allo sviluppo tecnologico costante garantito dai progetti di open innovation, sono centrali ella competizione globale sull’Ai. “Questo consente alle startup di crescere e competere e, contemporaneamente, di validare i loro modelli su larga scala, grazie alle infrastrutture tecnologiche condivise dalle big tech”, ha detto Gay. Anche l’Europa è in gara: “Abbiamo visto in questi giorni come, in Francia, le big tech proseguano, da un lato, nella strategia di investimento in startup di intelligenza artificiale generativa e, dall’altro, abbiano annunciato ulteriori, importanti investimenti per lo sviluppo dell’ecosistema startup e delle competenze. Questo ci impone una riflessione sul ruolo che il nostro Paese e il nostro tessuto imprenditoriale vogliono giocare all’interno di questa vera e propria rivoluzione industriale. Gli investimenti in startup e l’open innovation sono la chiave per competere su questo terreno. Come Zest, grazie alle caratteristiche uniche del nostro ecosistema, al primo programma di accelerazione dedicato allo sviluppo delle startup di intelligenza artificiale nel nostro Paese e a competenze specifiche di open innovation e corporate venturing, vogliamo essere il principale abilitatore per l’innovazione Ai delle imprese italiane”. Testo: Patrizia Licata
04 giu, 2024
Telemedicina, quando la sanità diventa digitale. Consulti medici, visite specialistiche a distanza e monitoraggio dei pazienti in tempo reale. Sono solo alcune delle potenzialità della telemedicina, uno strumento che potrebbe rendere la sanità sempre più efficace, abbattendo le barriere e rendere la medicina accessibile a tutti. Ma, nella realtà, la telemedicina è uno strumento ancora poco utilizzato. “Stiamo utilizzando solo l’1% delle potenzialità attuali dei sistemi di telemedicina”, spiega Giovanni Migliore, presidente della Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (Fiaso). “Attraverso la tecnologia – continua – oggi potremmo migliorare l’efficienza, l’accessibilità e la qualità delle cure, ma non riusciamo a superare barriere culturali o organizzative che impediscono una più ampia adozione dei servizi in favore dei pazienti”. Ecco perché. I vantaggi della telemedicina Tra le tante applicazioni possibili della telemedicina, i servizi più utili da sviluppare nell’immediato sono la televisita – una visita medica a distanza che consente ai pazienti di ricevere diagnosi senza doversi recare in ospedale o in ambulatorio – e il teleconsulto tra specialisti, utile per discutere di casi clinici complessi, condividere competenze o prendere decisioni su diagnosi e terapie. “La telemedicina potrebbe essere di grande aiuto nella risoluzione di due grandi problemi della sanità, come la mancanza del personale sanitario e le liste d’attesa. Potremmo, ad esempio, portare visite specialistiche in aree periferiche – dice Migliore – ottimizzando la gestione del tempo dei medici e dei pazienti, riducendo l’attesa per appuntamenti e follow-up”. Ma non solo. Attraverso la telemedicina, si potrebbe effettuare il monitoraggio costante dei pazienti con malattie croniche senza farli muovere da casa: “Potremmo portare ciò di cui il paziente ha bisogno, lì dove ne ha bisogno”, sottolinea il presidente della Fiaso. La fotografia attuale: i numeri A fotografare la situazione è una ricerca dell’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano. Nell’86% delle aziende sanitarie che dispongono del servizio di telemedicina, le prestazioni oggi erogabili in televisita oscilla tra l’1 e il 5%. Attualmente, solo il 40% delle strutture sanitarie pubbliche ha attivato i servizi di televisita, mentre un altro 40% ha in corso sperimentazioni o le attiverà entro fine anno. Il teleconsulto è utilizzato nel 52% delle aziende sanitarie, seguito dai servizi di telemonitoraggio che si fermano al 40%. Il 29% delle strutture ha attivato, o sta sperimentando, servizi di teleconsulto tra medici di medicina generale e ospedale. Sanità digitale: impatto economico Tra le barriere individuate dalla ricerca del Politecnico, oltre ad un tema culturale che ne frena la diffusione, ci sono le risorse economiche limitate. Secondo quanto reso noto da Fiaso, il Governo ha messo sul piatto 1,5 miliardi di euro attraverso i fondi del Pnnr. Tuttavia, l’impatto della sanità digitale sulla spesa pubblica è ancora da mettete a fuoco, nonostante ci sia stato un aumento del 22% rispetto al 2022. “Non possiamo più perdere tempo. Dobbiamo potenziare l’agenzia italiana per la sanità digitale, fare formazione per sviluppare competenze e professionalità nuove, dai dirigenti per i quali lo stesso Pnrr ha previsto e finanziato corsi, giù a caduta sugli altri attori del servizio sanitario, fino ai medici di medicina generale. Dobbiamo fare tutti di più per colmare il divario tra i servizi disponibili e il loro effettivo utilizzo”, conclude il presidente Migliore. Testo: Patrizia Tossi
04 giu, 2024
Secondo quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, la spesa per Sanità digitale in Italia nel 2023 è stata pari a 2,2 miliardi di euro (+ 22% rispetto al 2022). La cybersecurity si conferma, come l’anno scorso, al primo posto tra le priorità per le aziende sanitarie. Nel 2023 il 35% dei medici specialisti e il 48% dei Medici di Medicina Generale hanno fatto accesso al Fascicolo Sanitario Elettronico, che riduce il tempo necessario per reperire le informazioni (per il 70% degli specialisti e il 65% dei Mmg) e semplifica la lettura dei documenti scambiati (70% degli specialisti e il 60% dei Mmg). Inoltre, fornisce informazioni critiche per la gestione del paziente in situazioni di emergenza (68% degli specialisti e 60% dei Mmg) e permette di prendere decisioni più personalizzate e basate sull’intera storia clinica del paziente (68% e 53%). L’IA potrà essere un valido supporto per le proprie attività Secondo il 72% degli specialisti e il 70% dei Mmg l’intelligenza artificiale potrà rafforzare le capacità di accuratezza e personalizzazione delle cure. Per il 55% degli specialisti e il 66% dei Mmg potrà rendere più sostenibili le attività di monitoraggio di un elevato numero di pazienti cronici. Sei pazienti su dieci (62%) dichiarano che, se usata con prudenza, l’IA possa portare più benefici che rischi e che possa aiutare il medico nel prendere decisioni più precise e rapide (58%). Il rischio che l’automatizzazione di alcune attività possa condurre a errori (55% degli specialisti e 59% dei Mmg) e che l’introduzione dell’IA nella pratica clinica possa diminuire il valore del giudizio clinico basato sull’esperienza professionale (53% e 56%), sono invece le principali preoccupazioni. Oltre a dr Google, gli italiani faranno riferimento a dr ChatGpt? Il 22% degli italiani, secondo l’indagine ha utilizzato ChatGpt almeno una volta nell’ultimo anno: il 23% di questi l’ha usato per cercare informazioni su prevenzione e stili di vita, il 19% su problemi di salute e il 15% su farmaci e terapie. Nel 40% dei casi l’utente che si è rivolto a ChatGpt in cerca di informazioni sulla salute afferma che le informazioni trovate hanno consentito di ridurre le comunicazioni con il medico. Il 29% degli specialisti, il 34% degli infermieri e ben due terzi dei Mmg ha utilizzato soluzioni di AI generativa (GenAI) per ricercare informazioni scientifiche. L’ostacolo della limitata cultura e mancanza di competenze Il 63% delle strutture sanitarie vede ancora la disponibilità di risorse economiche come la barriera più significativa all’innovazione digitale. Tra gli altri ostacoli maggiormente percepiti troviamo anche quest’anno la limitata cultura per il digitale (43%) e la mancanza di competenze per l’utilizzo degli strumenti (40%), oltre all’integrazione dei nuovi strumenti con i sistemi informatici già presenti nelle strutture (41%). Fonte: Corcom
04 giu, 2024
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28 mag, 2024
In particolare, erano stati segnalati ripetuti accessi al Dse da parte di personale sanitario non coinvolto nel processo di cura dei pazienti. In un caso, una professionista della Asl era infatti riuscita a visionare gli esami di laboratorio dell’ex marito a sua insaputa pur essendo quest’ultimo non in cura da lei. Dalle verifiche effettuate dall’Autorità è emerso che il sistema di gestione del Dse consentiva agli operatori sanitari di inserire manualmente, mediante autocertificazione, la motivazione per cui si rendeva necessario l’accesso al dossier sanitario. L’accesso al documento era inoltre consentito, per impostazione predefinita, ad una ampia lista di figure professionali che niente avevano a che fare con il percorso di cura dei pazienti, compreso il personale amministrativo. Il tutto in violazione di quanto stabilito dal Garante Privacy con le “Linee guida in materia di Dossier sanitario” del giugno 2015, con cui l’Autorità ha stabilito che “il titolare del trattamento deve porre particolare attenzione nell’individuazione dei profili di autorizzazione, adottando modalità tecniche di autenticazione al dossier che rispecchino le casistiche di accesso proprie di ciascuna struttura” garantendo che l’accesso al dossier sia limitato al solo personale sanitario che interviene nel tempo nel processo di cura del paziente. Il Garante Privacy ha infine accertato ulteriori illeciti, tra cui la mancata predisposizione di un sistema di alert, volto ad individuare comportamenti anomali o a rischio relativi alle operazioni eseguite dagli incaricati al trattamento (es. relativi al numero degli accessi eseguiti, alla tipologia o all’ambito temporale degli stessi). Oltre ad applicare la sanzione amministrativa, l’Autorità ha dunque ordinato all’Asl di mettere in atto tutte le misure tecniche e organizzative necessarie per garantire la sicurezza dei dati personali trattati e scongiurare nuovi accessi abusivi. Fonte: Garante Privacy
21 mag, 2024
In particolare l’art. 9 comma 2 lett. H del GDPR, stabilisce quanto segue: “ il trattamento è necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità, fatte salve le condizioni e le garanzie di cui al paragrafo 3”, mentre al comma 4 prosegue affermando che: “Gli Stati membri possono mantenere o introdurre ulteriori condizioni, comprese limitazioni, con riguardo al trattamento di dati genetici, dati biometrici o dati relativi alla salute”. La sentenza richiamata spiega quindi quali sono i limiti descritti in tale articolo precisando che se da un lato gli Stati membri hanno una certa discrezionalità, questa deve essere comunque conforme al principio di proporzionalità, quindi senza imporre obblighi eccessivamente stringenti, ma anche senza alleggerire le autorizzazioni prescritte dallo stesso articolo 9 del GDPR. Relativamente all’art. 110 del Codice Privacy, è in vigore dalla fine del mese di aprile una nuova formulazione grazie al nuovo decreto PNRR bis che ha modificato tale articolo. Cosa diceva prima l’art. 110? In primis, l’art. 110 stabiliva come base giuridica del trattamento per la ricerca scientifica, il consenso stabilendo delle eccezioni limitate e subordinate ad altre condizioni (provvedimenti normativi) ed adempimenti (DPIA). Inoltre, dove non era possibile acquisire il consenso bisognava ottenere il parere positivo del comitato etico, e sottoporre il progetto a consultazione preventiva del Garante cosi come stabilito dall’art. 36 del GDPR. Con la nuova formulazione dell’articolo 110 non si prevede più la consultazione preventiva del Garante, ma i progetti di ricerca scientifica medica possano essere adottati se conformi alle misure di garanzia previste dall’articolo 106 dello stesso Codice. Non dimentichiamoci, anche del recentissimo DDL sull'Intelligenza Artificiale, il quale riporta disposizioni importanti in campo sanitario relativi proprio alla ricerca scientifica. Il Capo II, infatti, fornisce disposizioni relative al settore sanitario, in particolare agli articoli 7 e 8. In particolare si parla di accessibilità dei servizi sanitari, ricerca scientifica e dell’applicazione della piattaforma di intelligenza artificiale nazionale per supporto alle finalità di cura, che sarà affidata all’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. L’art. 7 disciplina l’uso di strumenti di intelligenza artificiale in ambito sanitario e di disabilità, in particolare le disposizioni sono le seguenti: - I sistemi di intelligenza artificiale non devono creare discriminazioni all’accesso per le prestazioni sanitarie; - L’interessato deve essere informato se per il trattamento sanitario sono utilizzati sistemi di Intelligenza artificiale; - È il medico che decide se utilizzare o meno sistemi di intelligenza artificiale; - I dati ed i sistemi utilizzati devono essere soggetti a verifica costante per ridurre il rischio di errore e di trattamento illecito di dati. L’art. 8, cerca di eliminare alcuni limiti ed ostacoli relativi all’utilizzo dei dati personali per finalità di ricerca scientifica, stabilendo che i dati trattati per finalità di ricerca scientifica e sperimentazione sono da intendersi di rilevante interesse pubblico, se e solo se tali finalità sono perseguite da soggetti pubblici, o anche da soggetti privati senza scopo di lucro. Inoltre, dovranno comunicare all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali determinate informazioni relative alla Titolarità del trattamento (quindi chi è il Titolare del trattamento), se è stata effettuata una DPIA e quali sono le misure di sicurezza applicate, oltre che rispettare il principio di privacy by design e by default. Ricevute tali informazioni, l’autorità garante ha comunque 30 giorni di tempo per bloccare tale trattamento. Quindi le aziende private con finalità di lucro sono escluse? Per queste si applica il nuovo testo dell’art. 110 del codice privacy, sopra menzionato, che come si è visto è contraddistinto da una maggiore elasticità pur richiedendo il rispetto di misure di garanzia che dovranno essere emanate dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali. In conclusione, si sta assistendo ad un grande passo in avanti, ma che richiede ulteriori approfondimenti e chiarimenti in quanto non solo ancora oggi si possono evidenziare delle incongruità con le previsioni del GDPR, che pone problematiche di coordinamento tra le norme, ma siamo ancora in attesa delle misure di garanzia che dovrebbero essere previste dal Garante per i dati sanitari, genetici e biometrici. Inoltre, resta aperta la questione per le aziende con scopo di lucro che ad oggi sono tagliate fuori da tali disposizioni. Testo: Gianpiero Uricchio Esperto in D. lgs. 231/2001; Maestro della Protezione dei dati personali e Data Protection designer
21 mag, 2024
1. Introduzione al Contesto L’EHDS è stato proposto in un momento critico, seguendo le sfide globali poste dalla pandemia di COVID-19 che ha evidenziato l’importanza di una gestione efficace dei dati sanitari. Il compromesso del “trilogo” raggiunto il 15 marzo scorso tra la Commissione UE, il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea, ha posto le basi per una legislazione che potrebbe trasformare radicalmente la sanità pubblica europea. 2. Obiettivi dell’EHDS L’obiettivo principale dell’EHDS è creare un ambiente sicuro e integrato dove i dati sanitari possano essere scambiati liberamente tra gli Stati membri, senza compromettere la protezione dei dati personali. Le principali finalità includono: Facilitare l’accesso ai dati: consentire ai professionisti sanitari e ai pazienti di accedere facilmente ai dati sanitari, indipendentemente dalle frontiere nazionali. Promuovere la ricerca: migliorare la qualità e l’efficienza della ricerca medica europea attraverso l’accesso a un vasto pool di dati sanitari. Supportare la politica sanitaria: aiutare i responsabili delle decisioni politiche a formulare politiche basate su dati più accurati e rappresentativi. Potrebbero interessarti anche: –Spazio europeo dei dati sanitari: la proposta della Commissione europea –Accesso civico a documenti di dati sanitari: P.A. deve sempre rifiutarlo –Il trattamento dei dati sanitari. Intervista all’Avv. Pier Paolo Muià 3. Componenti Chiave dell’EHDS L’EHDS si articola attorno a due componenti infrastrutturali principali: MyHealth@EU: si tratta di un portale che consente ai cittadini europei di accedere ai propri dati sanitari da qualsiasi Stato membro. Questo strumento aumenta la trasparenza e supporta i diritti dei pazienti di gestire le proprie informazioni sanitarie. HealthData@EU: è una piattaforma dedicata all’uso secondario dei dati sanitari che facilita la ricerca e l’analisi per scopi di politica sanitaria e innovazione medica. 4. Vantaggi dell’EHDS I benefici derivanti dall’implementazione dell’EHDS sono molteplici: Per i pazienti: migliore accessibilità e controllo sui propri dati sanitari, miglioramento della qualità delle cure mediche attraverso una più completa disponibilità delle informazioni sanitarie. Per i professionisti sanitari: facilità di accesso a informazioni complete su un paziente, che possono migliorare significativamente la diagnosi e il trattamento. Per i ricercatori: accesso a un ampio database di dati sanitari che può accelerare significativamente le scoperte mediche e le innovazioni nel trattamento. 5. Sfide e Considerazioni Etiche La realizzazione dell’EHDS non è priva di sfide. Le questioni di privacy e sicurezza dei dati sono al centro delle preoccupazioni, con il bisogno di garantire che i dati sanitari siano gestiti e scambiati con la massima sicurezza. Inoltre, l’interoperabilità tra i diversi sistemi IT sanitari nazionali richiede un impegno considerevole per standardizzare i processi e le tecnologie. Conclusione: Il Futuro dell’EHDS e il Suo Impatto sull’Unione Europea L’introduzione dell’European Health Data Space (EHDS) segna un momento cruciale per la sanità nell’Unione Europea. Questo ambizioso progetto non è solo una misura tecnologica; rappresenta una visione strategica per rafforzare la coesione tra gli Stati membri attraverso la standardizzazione e l’efficienza nella gestione dei dati sanitari. Con l’EHDS, l’UE si avvicina a realizzare una “Unione Sanitaria” in cui le informazioni possono fluire liberamente e sicuramente, migliorando l’accessibilità e la qualità delle cure mediche per milioni di cittadini. L’EHDS promette di abbattere le barriere burocratiche e tecniche che attualmente ostacolano la libera circolazione dei dati sanitari tra i paesi membri. Questa facilità dovrebbe portare a un ambiente in cui i medici e i ricercatori possono accedere rapidamente a informazioni vitali, accelerando così i tempi di risposta in situazioni di emergenza sanitaria e migliorando i protocolli di trattamento basati su evidenze più ampie e variabili demografiche diverse. Inoltre, con la crescente minaccia di pandemie globali, come evidenziato dalla recente crisi del COVID-19, l’EHDS è più che mai rilevante. La capacità di analizzare e scambiare dati sanitari in tempo reale può essere decisiva nel contenere future emergenze sanitarie, permettendo una risposta coordinata e basata su dati concreti. Nonostante i significativi vantaggi, la strada verso la piena realizzazione dell’EHDS non è priva di sfide. Questioni di privacy, sicurezza dei dati e interoperabilità richiedono soluzioni innovative e un impegno costante per garantire che il sistema non solo rispetti ma promuova i diritti dei cittadini a una protezione dei dati efficace. È fondamentale che queste preoccupazioni siano affrontate con trasparenza e con il coinvolgimento di tutti gli stakeholder, inclusi i cittadini europei, per costruire un ambiente di fiducia e accettazione attorno all’EHDS. Guardando al futuro, l’EHDS ha il potenziale per diventare un modello globale di come la tecnologia può essere impiegata per migliorare la sanità pubblica. Mentre l’Europa procede con l’implementazione di questa piattaforma, il successo dell’EHDS potrebbe ispirare adozioni simili in altre regioni del mondo, promuovendo così una gestione dei dati sanitari più interconnessa e resiliente a livello globale. In conclusione, l’European Health Data Space è più di una semplice iniziativa politica o tecnologica; è un passo fondamentale verso un futuro in cui la sanità è più accessibile, reattiva e sicura, grazie al potere trasformativo dei dati digitali. Testo: Avv. Luisa Di Giacomo.
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